PHYSIS, i Codici dell’Invisibile

L’Arte non dà risposte,
indica direzioni.
(Maria Lai)

In ogni cosa c’è l’indicazione di una possibile Pienezza – Hillman la definisce Ghianda – e credo che un artista con animo aperto e nobile sia un esploratore in viaggio, alla ricerca di quella Pienezza nascosta dentro le cose.
Il tentativo di rintracciarla, lo definirei un vero e proprio atto d’Amore nei confronti della perfezione del mondo che abitiamo e di quegli aspetti del “bosco invisibile” che indaghiamo per metterci in connessione con le nostre radici, cercando di scorgere le indicazioni più conformi alla nostra esistenza.

Roberto Ghezzi inizia da qui il suo nuovo viaggio, dall’ansia di capire, o ancora più in profondità, dall’Ansia d’Infinito.
Non è nuovo l’intimo legame con il suo territorio, che ha esplorato e indagato da sempre. Non è nuovo nemmeno il sentimento intenso che intreccia sul confine fra acqua e terra.
È nuovo lo sguardo che posa su quell’orizzonte.
Gli elementi della Natura che compongono l’opera di Roberto Ghezzi vengono da esperienze molto lontane, da prima ancora che la pittura diventasse il suo mezzo di indagine, forse, prima ancora che lui stesso potesse averne la consapevolezza; perché il seme di ciò che ora affiora sulle sue nuove tele, o i suoi ferri, è frutto di un lungo cammino di studio, di ascolto e di osservazione silenziosa, nel quale Roberto si è immerso totalmente fin da bambino.
L’Arte è una chiamata, una vocazione ineludibile, in rapporto costante con la propria biografia, una continua evoluzione che passa attraverso la forma delle esperienze, segnando i punti cardine della vita, punti sui quali Roberto ha ancorato la propria identità artistica.
È per questo che l’opera non nasce dal nulla, da un’ispirazione immediata, o dalla sensazione di aver avuto un’idea originale: l’opera nasce dalla Necessità di conoscere, di indagare, di intrecciare la propria vita con la profondità della Natura.
Il processo artistico è lungo e lento, sofferto, inquieto, spesso fallimentare; il processo che accompagna la nascita di un’opera è una prova costantemente sotto sforzo mentale e fisico.
Fermarsi alla sola apparenza, alla superficie, all’idea che troviamo insolita o innovativa, significa annullare la profondità della ricerca. […] Per cambiare il modo di vedere le cose, bisogna innamorarsi. Allora la stessa cosa sembrerà del tutto diversa.i

Un paesaggio fatto con il paesaggio.
Prima di entrare nella profondità del lavoro di Roberto Ghezzi, bisogna saper leggere le coordinate della mappa che l’artista ci offre, preparandoci al viaggio che ci propone.
Roberto ha scelto dei punti lungo i torrenti delle tante vallate che da pescatore a mosca ha sempre esplorato, in un semplice gesto, ha immerso parzialmente delle tele tirate su telai e delle lastre di metallo, tra aria e acqua. Periodicamente e con tempi cadenzati anche da mesi, le sottraeva dai luoghi e, riportandole in studio, ne bloccava con la resina il processo di traccia depositato sul supporto. Senza modificare nulla del sedimento, ha inquadrato la storia di quel tempo naturale, archiviando paesaggi segnati dagli stessi paesaggi.
Le immagini che vengono a crearsi sui supporti sono il risultato del tempo trascorso, sovrapposizioni di passaggi, di strutture effimere che potrebbero continuare nella loro cancellazione e costruzione perennemente, se l’atto di bloccare il sedimento con la resina, non venisse attuato.
Tutta la terra che abitiamo non è altro che un eterno stratificarsi di sedimenti e di segni che si cancellano nell’arco di poco, anche di qualche ora, immagini temporanee svolte le une sulle altre, che allo stesso tempo si accumulano a formare la materia.
Roberto compie un gesto consapevole, decide di registrare un velo di questa stratificazione e di sublimarlo; scegliendo un dato luogo e un dato tempo, ordina il processo di creazione apparentemente casuale, e lo porta alla luce, difronte allo sguardo dello spettatore.
Durante il periodo di immersione nella natura, i supporti lasciati disposti nei vari punti dei ruscelli, si fanno elementi di registrazione dello svolgimento silenzioso e invisto della vita segreta del bosco.
Insetti, pesci, foglie, sfiorano, vivono o si saldano alla superficie immersa, lasciando così le impronte del loro passaggio.
Quello a cui Roberto ci pone di fronte è un paesaggio svuotato da tutte le descrizioni.
Siamo noi stessi a dover costruire, secondo il nostro orientamento di profondità, le coordinate della mappa.
Non c’è alcun territorio predeterminato di cui possiamo tracciare una mappa; è l’azione stessa del tracciare la mappa che genera le caratteristiche del territorio. ii

Dalla fine della rappresentazione alla sfida intellettuale.
Avere degli esempi a cui porgere lo sguardo, è fondamentale per appropriarsi del percorso artistico da costruire e sviluppare.
Ogni artista deve porsi di fronte a dei modelli per completare la propria opera, per proseguire lungo un cammino che non è solo unico e individuale, ma è connesso al tempo e alla storia e intrecciato a quella visione integrale che permette di ampliarsi verso contenuti universali.
L ‘Artista di oggi più di ogni altra epoca, deve sopportare il peso e la responsabilità di confrontarsi con i grandi Maestri del passato.
Nel percorso di Roberto Ghezzi, si può dunque leggere quanto del suo concetto di Realtà provenga dai grandi esempi della storia dell’arte moderna più recente: da Alberto Burri a Lucio Fontana, Jannis Kounellis, ma se vogliamo arrivare anche più vicino, Richard Long, Giuseppe Penone o Alberto Carneiro.
Avere dei riferimenti gli ha permesso di fare una riflessione più profonda riguardo al proprio cammino, una riflessione che può riservare sorprese, stravolgimenti che deviano dalle strade più battute e sicure.
Con questo nuovo percorso, Roberto compie un vero e proprio atto di coraggio, di sovversione, privandosi di tutte quelle certezze sulle quali poggiava la sua pittura, per costruire nuove ipotesi e possibilità di indagine e ampliamento: rompere le cornici e uscire dai confini, riapparendo in un nuovo ignoto.
La materia con cui ha a che fare l’artista, allo stesso modo con cui ha a che fare lo scienziato, è appunto l’ignoto. Quale altra fascinazione si può subire così intensamente se non quella di esplorarlo? Quale altro sublime tende così fortemente la mente, se non l’abbandonarsi tra le braccia di ciò che non si può prevenire?
L’ignoto è il campo di azione per la nascita di un’opera, per questo è necessario il coraggio di indagare oltre ciò che credevamo certezza, riscrivendo nuove leggi e una nuova disciplina che possa guidarci, perché non ci si tuffa nel buio senza la lucidità del rigore.
Il seme germogliato nelle ultime opere di Roberto, era già dentro la sua pittura, ma per venire alla luce, l’artista ha dovuto abbandonare il primo strumento di raffigurazione al quale affidava la propria indagine.
Non più la rappresentazione della realtà, la mimesis, la vita bidimensionale del colore sulla tela, ma la Realtà stessa opera liberamente e incondizionatamente sui materiali che Roberto le pone.

Ho lasciato che la Realtà agisse sul mio supporto, allo stesso modo con cui agisce su se stessa.
Questa è stata la prima dichiarazione che mi fece lo scorso autunno, quando venne a presentarmi il suo nuovo percorso.
Una conversazione tra artisti che si è poi trasformata in un’indagine condivisa.

Profondità e Superficie
Il vero bosco è fatto dagli alberi che non vedo. Il bosco è una natura invisibile e sfugge allo sguardo perché è sempre un po’ più in là del luogo in cui siamo. È una somma di nostri possibili atti che, realizzandosi, perderebbero il loro genuino valore. Ciò che del bosco si trova davanti a noi in modo immediato, è solo un pretesto affinché il resto rimanga nascosto e distante.iii

Gli alberi non lasciano vedere il bosco e, proprio per questo, il bosco esiste.
Lo scopo del nascondimento non è da intendere come una difesa o un subordinamento ad un ordine prestabilito, ma come un valore di profondità e di bellezza.
Per accorgersi della bellezza nelle cose, è necessario compiere un gesto di coraggio di umiltà, di profondità nello sguardo, in cui chi la osserva, dovrà annullare la propria ansia di mettersi in evidenza.
Non c’è nulla di tanto illecito quanto di rimpicciolire il mondo con le nostre manie e le nostre cecità, sminuire la realtà, sopprimere immaginariamente parte di ciò che è.iv
Ciò che è profondo, non potrà mai manifestarsi allo stesso modo di ciò che è superficiale, per questo è necessario porsi difronte all’opera preparati ad accogliere l’invisibile o, ancor meglio, l’invisto.
Il filosofo Federico Ferrari definisce il senso di «invisto dell’immagine» come l’inconscio dell’immagine, là dove l’apparenza si arresta e il non ancora visto accede alla visione.

Il valore di un’opera non è dato tanto dalla sua forza espositiva, dalla sua capacità di impressionare la vista, di catturare lo sguardo, ma dalla sua segretezza, profondamente legata a un rituale, che lega alla memoria ancestrale dell’origine.v

In questo modo ci prepariamo ad accogliere il processo creativo di Roberto, che attraverso un percorso esistenziale in profondo contatto con la Natura, ci rende partecipi di uno svelamento inconscio, l’inconscio dell’immagine.
Ilaria Margutti.